Le interviste di Oltreconfine
Maria Soresina ¤ www.segretecose.it

Dante e Mozart: celebrità eretiche

di Mariavittoria Spina

in Letteratura&Psiche (Oltreconfine - n° 6 - Lug/Ago 2012)
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Quali sono state le tappe fondamentali del tuo personale percorso spirituale?
Fondamentale è stato l’incontro con la spiritualità indiana, nato da un interesse politico, ovvero per l’opera di Gandhi e la nonviolenza. Da qui, prima la lettura della Bhagavad Gita, da lui così spesso citata, poi delle Upanishad, dove ho trovato le risposte alle tante domande che mi facevo sul senso della vita e sulla responsabilità individuale, che non può essere finalizzata solo alla salvezza della propria anima. Molte cose non le capivo, ma quando leggevo che l’Atman, che è il mio Atman, si trova in tutte le creature, «abita tutto ciò che nel mondo si muove», o che bisogna liberarsi non solo dalle azioni cattive, ma anche da quelle buone, sentivo di trovarmi di fronte a qualcosa di grande e di vero. In un mondo in cui tutti pretendono di sapere ciò che Dio dice e ciò che Dio vuole, leggere che il Brahman è «ciò che non può essere espresso con la parola» e nemmeno «pensato con il pensiero» ha acceso in me il desiderio di andare alla ricerca dell’«antica, stretta, lunga strada» di cui parlavano quei testi.

Puoi raccontarci l’esperienza più significativa della tua permanenza in India?
Non avrei mai scritto i miei libri, né visto quello che ho visto in Dante, se non avessi incontrato Jagdish Parikh. Era un signore anziano, ex direttore generale di una grande azienda indiana, che a una certa età si era dimesso per potersi dedicare alle sue passioni: la poesia e la ricerca di Dio. Nel 1967 avevo introdotto in Italia Servas, un’organizzazione pacifista di scambi di ospitalità fondata nel 1948 ma ancora sconosciuta in Italia, di cui negli anni ’80 ero stata vicepresidente mondiale. Ebbene, Jagdish Parikh era il responsabile per Bombay. Quando gli scrissi, volle ospitarmi personalmente. Ho capito subito che era un personaggio straordinario. All’epoca mi dichiaravo atea. Ricordo che in uno dei primi incontri mi chiese: «Perché dici di essere non-credente? Non credi tu nella bellezza, nella libertà, nella giustizia?» Può sembrare assurdo, ma quella semplice domanda è stata illuminante, e da allora ho rifiutato l’etichetta di non-credente. L’anno successivo, il 1992, tornai in India e trascorsi due mesi con Jagdish, che divenne per me un vero Maestro.

In che modo ti sei accostata al complesso mondo delle valenze simboliche dissimulate nelle opere che hai analizzato?
Anche per questo aspetto è stato fondamentale l’incontro con la cultura indiana, dove il linguaggio simbolico è ancora vivo, come lo era da noi nel Medioevo. I poeti usano quel linguaggio per dire cose che non si possono dire altrimenti. Sia la Commedia, sia il Flauto magico traboccano di simboli. Nella Commedia ho trovato la presenza di simboli peculiari della tradizione indiana, come il mandala o l’albero rovesciato, che sono stati una chiave di lettura che apriva a nuovi, diversi significati. Una volta tornata in Italia, mi sono dedicata interamente allo studio di Dante e del simbolismo per i dieci anni successivi. Ma non è stata solo una questione di studio, perché il linguaggio simbolico non parla alla mente: bisogna fare silenzio, meditare, solo così affiora il senso del simbolo.

(continua)

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